La professoressa subito ci mette in guardia: mentre il diritto internazionale difende la libertà di parola e condanna il suo condizionamento, non vi sono leggi che proteggono il diritto a non farsi carpire il pensiero interno, non espresso. Magari uno di noi pensa di bastonare un politico ; ma lo pensa solo e non agisce. Ma se si carpisce questo pensiero di un soggetto poi magari si trova il modo di punirlo. Sono almeno dieci anni in cui la scienza ha prodotto sviluppi a volte miracolosi o sconcertanti in questo settore, che non vanno di pari passo con la difesa del diritto a pensare quello che ci pare.
Invito a leggere il documentatissimo saggio.
Qui, comunque, mi preme discutere una idea in parte sua , che riprende anche quella del famoso prof Topol. Vi sono app che consentono al paziente di monitorare la nerurobiologia dei propri pensieri, umore (ad es depressivo o ipomaniacale) e persino il grado di disturbo cognitivo para-alzheimer. La professoressa nel libro dichiara a pag 99 una frase che mi ha colto di sorpresa e mi ha stimolato perplessità ( vedi pag 98 dell’edizione italiana)
“Ma è proprio il caso di ricevere le “cattive notizie» da un esperto come un medico? Non sarebbe meglio convogliarle tramite qualcuno formato all'empatia e alla compassione? Oppure lasciar decidere ai pazienti se vogliono scoprire le cose da soli, mediante un'app sullo smartphone collegata al diapositivo?”
Il messaggio della professoressa Nita viene poi da lei rinforzato dalla citazione, alla pagina successiva, di quanto sostiene l’autorevole e famoso medico USA prof Topol:
" Secondo Topol l' idea che i medici debbano trattare con sufficienza i pazienti e decidere se rivelare loro certe informazioni, e in quale misura, risale addirittura al 2600 a.C. ed è sopravvissuta fino ai giorni nostri. L'attuale asimmetria informativa viene descritta in questi termini: I medici hanno tutti i dati, le informazioni e la conoscenza. I pazienti possono rimanere passivi, continuando a ignorare le proprie informazioni sanitarie, oppure, se scelgono di essere attivi, tipicamente devono chiamare più volte o pregare per ottenere i dati riguardanti la propria condizione»"
In questi passaggi dell'autrice e del prof Topol si celano due gravi rischi: a) ignorare i sempreverdi insegnamenti di Ippocrate (vissuto 2500 anni fa, molto vicini ai 2600 citati da Topol) che pone al centro dell'azione del medico la sua indipendenza, disinteresse e il rapporto di fiducia legato al segreto professionale; b) ignorare che le App che i pazienti userebbero per la loro "autodeterminazione" Non sono costruiti da loro, ma da aziende private o pubbliche che tendenzialmente rischiano di tradire i messaggi ippocratici, perché in genere accumulano dati privati e segreti di masse di pazienti, per poi diffonderli o analizzarli incuranti sostanzialmente di quei due grandi vincoli che ogni medico deve seguire: indipendenza e rapporto fiduciario basato sul rispetto del segreto professionale.
In sintesi il mio forte disaccordo è sul lasciare crescere questa presenta autonomia della diade App-Paziente, al posto della diade medico-paziente.
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